Descrizione
Lucia è ostetrica e fa volontariato al Centro di accoglienza della /sua/ isola. Qui incrocia le vite delle donne e degli uomini che vengono dal mare. Così insieme a lei conosciamo Jumelle e suo fratello Thiam, partiti da un villaggio dell’Africa centrale alla volta dell’ Europa, attraverso il deserto e la rotta del Mediterraneo.
“Da Lampedusa”, dice Lucia, “passa una linea di saturazione, dove si spingono gli estremi fino a toccarsi. L’energia splendente della vita e i segni delle cicatrici. Lo stesso pezzo di terra tiene insieme l’eccitazione estiva, quando si fa l’amore sugli scogli, e Jumelle che /portava/ il figlio di uno stupro.”
Proprio a partire dalle cicatrici, la protagonista fa un viaggio a ritroso per restituire umanità e senso alla storia di persone come Jumelle e Thiam e, passo dopo passo, anche alla propria e alla nostra.
«“Non dargli un nome se no ti affezioni” diceva una vecchia a Lampedusa quando nell’orto giocavo con un pulcino. Avevo cinque anni o forse sei. Ho capito da adulta cosa voleva dire: meglio di no, non dargli un nome, lo renderesti umano.»
Un memoir appassionato e sincero che ci narra senza retorica uno spaccato contemporaneo dell’epopea delle migrazioni, con una scrittura concisa, tagliente e a tratti poetica.
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